Motivazioni e criteri applicativi:
Nei pazienti con epatite B
HBV-DNA-positiva, HBeAg-negativa (il 90% dei
casi di epatite B attualmente in Italia), la
lamivudina negativizza HBV-DNA e normalizza ALT
in una percentuale di pazienti del 65-80% alla
fine del primo anno di trattamento, del 50-60%
alla fine del secondo e del 30-40% alla fine del
terzo anno (1). La sospensione del
trattamento è seguita dalla riattivazione
dell'epatite nel 90% dei responders (2).
Il problema della lamivudina
è l'emergere, durante il trattamento, di
mutanti dell'HBV parzialmente o totalmente
resistenti e, soprattutto, le segnalazioni, che
sembrano in crescendo, di riesacerbazioni molto
gravi e anche fatali in relazione all'emergere
dei mutanti (3), particolarmente in cirrotici
(valori di transaminasi elevati fino al range
dell'epatite acuta, tendenza all'aumento della
bilirubina e alla riduzione dell'attività
protrombinica). Anche se non ancora precisamente
quantificabile, questo rischio non è
irrilevante (5-7). D'altra parte, anche la
sospensione della terapia nei soggetti in
remissione espone al rischio di riesacerbazioni,
osservate nel 15-20% dei casi, in un terzo dei
quali con epatite clinicamente grave (4).
La lamivudina va quindi
limitata ai soggetti con forme evolutive e
avanzate di epatite B (ovvero in cui siano
dimostrabili alla biopsia ponti porto-centrali o
vi siano segni clinici di cirrosi) nei quali non
è indicata o è inefficace o non tollerata la
terapia con interferone che rimane la terapia di
prima linea (7, 8).
Nell'epatite cronica HBeAg
positiva la lamivudina può essere sospesa 3-6
mesi dopo la clearance di HBeAg. La durata
minima di trattamento è un anno. La
prosecuzione del trattamento nei pazienti senza
sieroconversione e/anti e va valutata tenendo
presente il rischio di lamivudino-resistenza.
Non esistono né dati da trial
controllati, né un consenso unanime sulla
durata ottimale della terapia con lamivudina nei
pazienti con epatite HBeAg negativa né
sull'utilità di proseguire il trattamento con
lamivudina nei pazienti con infezione da ceppi
mutanti resistenti, nei pazienti che non
sono in lista per trapianto e che non hanno
presentato una malattia epatica in fase di
scompenso (7, 8). È stato dimostrato che la
terapia con altri antivirali impiegata
tempestivamente, è in grado di indurre un
controllo della replicazione di questi ceppi
mutanti ed una remissione delle riacutizzazioni
di epatite, consentendo anche il trapianto di
fegato (9). Sarà da valutare quale sia la
durata ottimale di una terapia antivirale anti
HBV e quale sia, nel lungo periodo (più di 2
anni), l'incidenza di comparsa di mutanti
resistenti anche con l'impiego dei nuovi
antivirali.
Nel posttrapianto, la
lamivudina appare efficace sia per la
prevenzione sia per il trattamento della
recidiva (10); per la prevenzione, è stata
usata sia da sola (11) sia in combinazione con
dosi ridotte di immunoglobuline anti-HBV (12).
L'uso della lamivudina
post-trapianto non è fra le indicazioni
autorizzate in scheda tecnica; per la sua