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Farmaci generici

I farmaci generici, a differenza delle specialità medicinali, non hanno un nome di fantasia (il marchio registrato), ma vengono commercializzati con il nome comune del principio attivo. Per essere più precisi, ed evitare confusioni tra i possibili sinonimi, si utilizza la Denominazione Comune Internazionale (DCI), che è una contrazione del nome chimico (di solito troppo lungo) accettata da tutte le nazioni. Sulla scatoletta del farmaco, quindi, compare il DCI (es. ibuprofene), seguito dal nome dell'azienda che produce il medicinale. I principi attivi utilizzabili sono quelli più <<vecchi>> il cui brevetto è scaduto. I farmaci generici possono essere sia da banco (acquistabili liberamente) che prescrivibili (acquistabili solo con ricetta medica), esattamente come la specialità medicinale da cui derivano.

Che cosa prevede la legge
Possono essere generici i medicinali contenenti uno, o più principi attivi il cui brevetto sia scaduto (Legge 425/96) e che siano la copia bioequivalente di una specialità medicinale regolarmente in commercio.
Un principio attivo coperto da brevetto può essere commercializzato, come specialità avente un nome di fantasia, solo dall'azienda che ne detiene il brevetto. Questo apparente monopolio, che dura 10-20 anni, serve a risarcire l'azienda delle enormi spese di ricerca sostenute nei 10 anni circa necessari per mettere a punto un nuovo farmaco. In particolare poi, quando l'azienda ha accertato che il nuovo medicinale è sicuro ed efficace, per poterlo vendere deve chiedere l'Autorizzazione all'Immissione in Commercio (AIC) al Ministero della Sanità. Questa procedura, chiamata registrazione, prevede la consegna al Ministero di tutta la documentazione degli studi effettuati, prima sugli animali, poi su volontari sani, infine su pazienti, che dimostrano come il farmaco sia sicuro (non pericoloso, né tossico) e più efficace, rispetto agli altri già in commercio, nel trattare una determinata malattia.
Il farmaco generico è la copia di una specialità medicinale registrata, quindi deve avere lo stesso principio attivo, presente alla medesima dose, la stessa forma farmaceutica, la stessa via di somministrazione e le stesse indicazioni terapeutiche. Per queste sue caratteristiche si dà per scontato che il generico sia sicuro ed efficace (fatti già dimostrati dall'azienda che deteneva il brevetto), quindi la procedura per ottenere l'AIC è abbreviata e richiede solo le prove di bioequivalenza al farmaco che si intende copiare. L'azienda, che intende produrre e commercializzare un generico, non ha sostenuto spese di ricerca e risparmia anche sulla domanda di registrazione; in cambio di questi vantaggi, però, deve vendere il medicinale ad un prezzo almeno del 20% inferiore a quello del marchio di riferimento.


Normativa
La storia dei farmaci generici in Europa e in Italia comincia nel 1965, con la direttiva CEE n. 65/65 sui medicinali, che all’art. 8, comma 3, conteneva una norma che avrebbe dovuto facilitare l’ingresso dei "farmaci copia" anche in Italia. La direttiva però è stata recepita nel nostro paese solamente dopo più di un quarto di secolo, nel 1991. Una lentezza che spiega il ritardo italiano rispetto alla commercializzazione e alla vendita dei farmaci generici nonché il fatturato irrisorio confrontato a quello degli altri paesi europei.
Farmaci generici erano considerati fino all’entrata in vigore del DL 178/91 i galenici officinali (Elenco A del Formulario Nazionale della Farmacopea Ufficiale), con l’entrata in vigore del decreto entra in gioco una nuova definizione: farmaci preconfezionati prodotti industrialmente. Le cose cambiano così in modo significativo sia per quel che riguarda gli obblighi del farmacista sia per quel che riguarda norme di preparazione e di commercializzazione. Un passo in avanti significativo confermato nel 1996 quando la definizione ufficiale di generico diventa così "Farmaco, la cui formulazione non sia più protetta da brevetto, a denominazione generica del principio seguita dal nome del titolare della AIC".
Un concetto in breve tempo ampliato fino all’attuale definizione cui si è giunti con il DL 323 del 20/6/1996: medicinale a base di uno o più principi attivi, prodotto industrialmente, non protetto da brevetto o da certificato protettivo complementare, identificato dalla denominazione comune internazionale del principio attivo o, in mancanza di questa, dalla denominazione scientifica del medicinale, seguita dal nome del titolare dell'AIC, che sia bioequivalente rispetto ad una specialità medicinale già autorizzata con la stessa composizione quali-quantitativa in principi attivi, la stessa forma farmaceutica e le stesse indicazioni terapeutiche. Lo stesso decreto sancisce anche le norme riguardanti l’immissione in commercio e la documentazione necessaria al Ministero della Sanità.

 

Elenco delle molecole libere da brevetto

Farmaci generici

I farmaci generici, a differenza delle specialità medicinali, non hanno un nome di fantasia (il marchio registrato), ma vengono commercializzati con il nome comune del principio attivo. Per essere più precisi, ed evitare confusioni tra i possibili sinonimi, si utilizza la Denominazione Comune Internazionale (DCI), che è una contrazione del nome chimico (di solito troppo lungo) accettata da tutte le nazioni. Sulla scatoletta del farmaco, quindi, compare il DCI (es. ibuprofene), seguito dal nome dell'azienda che produce il medicinale. I principi attivi utilizzabili sono quelli più <<vecchi>> il cui brevetto è scaduto. I farmaci generici possono essere sia da banco (acquistabili liberamente) che prescrivibili (acquistabili solo con ricetta medica), esattamente come la specialità medicinale da cui derivano.

Che cosa prevede la legge
Possono essere generici i medicinali contenenti uno, o più principi attivi il cui brevetto sia scaduto (Legge 425/96) e che siano la copia bioequivalente di una specialità medicinale regolarmente in commercio.
Un principio attivo coperto da brevetto può essere commercializzato, come specialità avente un nome di fantasia, solo dall'azienda che ne detiene il brevetto. Questo apparente monopolio, che dura 10-20 anni, serve a risarcire l'azienda delle enormi spese di ricerca sostenute nei 10 anni circa necessari per mettere a punto un nuovo farmaco. In particolare poi, quando l'azienda ha accertato che il nuovo medicinale è sicuro ed efficace, per poterlo vendere deve chiedere l'Autorizzazione all'Immissione in Commercio (AIC) al Ministero della Sanità. Questa procedura, chiamata registrazione, prevede la consegna al Ministero di tutta la documentazione degli studi effettuati, prima sugli animali, poi su volontari sani, infine su pazienti, che dimostrano come il farmaco sia sicuro (non pericoloso, né tossico) e più efficace, rispetto agli altri già in commercio, nel trattare una determinata malattia.
Il farmaco generico è la copia di una specialità medicinale registrata, quindi deve avere lo stesso principio attivo, presente alla medesima dose, la stessa forma farmaceutica, la stessa via di somministrazione e le stesse indicazioni terapeutiche. Per queste sue caratteristiche si dà per scontato che il generico sia sicuro ed efficace (fatti già dimostrati dall'azienda che deteneva il brevetto), quindi la procedura per ottenere l'AIC è abbreviata e richiede solo le prove di bioequivalenza al farmaco che si intende copiare. L'azienda, che intende produrre e commercializzare un generico, non ha sostenuto spese di ricerca e risparmia anche sulla domanda di registrazione; in cambio di questi vantaggi, però, deve vendere il medicinale ad un prezzo almeno del 20% inferiore a quello del marchio di riferimento.


Normativa
La storia dei farmaci generici in Europa e in Italia comincia nel 1965, con la direttiva CEE n. 65/65 sui medicinali, che all’art. 8, comma 3, conteneva una norma che avrebbe dovuto facilitare l’ingresso dei "farmaci copia" anche in Italia. La direttiva però è stata recepita nel nostro paese solamente dopo più di un quarto di secolo, nel 1991. Una lentezza che spiega il ritardo italiano rispetto alla commercializzazione e alla vendita dei farmaci generici nonché il fatturato irrisorio confrontato a quello degli altri paesi europei.
Farmaci generici erano considerati fino all’entrata in vigore del DL 178/91 i galenici officinali (Elenco A del Formulario Nazionale della Farmacopea Ufficiale), con l’entrata in vigore del decreto entra in gioco una nuova definizione: farmaci preconfezionati prodotti industrialmente. Le cose cambiano così in modo significativo sia per quel che riguarda gli obblighi del farmacista sia per quel che riguarda norme di preparazione e di commercializzazione. Un passo in avanti significativo confermato nel 1996 quando la definizione ufficiale di generico diventa così "Farmaco, la cui formulazione non sia più protetta da brevetto, a denominazione generica del principio seguita dal nome del titolare della AIC".
Un concetto in breve tempo ampliato fino all’attuale definizione cui si è giunti con il DL 323 del 20/6/1996: medicinale a base di uno o più principi attivi, prodotto industrialmente, non protetto da brevetto o da certificato protettivo complementare, identificato dalla denominazione comune internazionale del principio attivo o, in mancanza di questa, dalla denominazione scientifica del medicinale, seguita dal nome del titolare dell'AIC, che sia bioequivalente rispetto ad una specialità medicinale già autorizzata con la stessa composizione quali-quantitativa in principi attivi, la stessa forma farmaceutica e le stesse indicazioni terapeutiche. Lo stesso decreto sancisce anche le norme riguardanti l’immissione in commercio e la documentazione necessaria al Ministero della Sanità.

 

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Aggiornato il : 19/03/2024

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